Quella mattina un fremito l'aveva attraversata dalla nuca fino al fondo schiena.
Avrebbe aperto la porta infilando le chiavi nella toppa, l'avrebbe richiusa dietro di lei, avrebbe indossato il berretto di lana leggero e poi di corsa, percorso la strada chiusa prendendola alla sua destra.
Avrebbe...
attraversato il ponte con i vecchi mulini, passando di fronte al rocchettificio e alla chiesa protestante da dove uscivano tutte le domeniche canti africani e dato un'occhiata veloce alla comunità di 15 gatti sul ciglio della strada, vicino al campo di stoppe ghiacciate.
Come tutte le mattine il paesaggio era lo stesso, scandito solo dalle stagioni che lo rendevano piu' o meno piacevole.
Aveva iniziato a correre per un motivo abbastanza comune alle donne occidentali. La corsa è il metodo migliore per buttar giù quei chili di troppo che per qualche strano motivo sono sempre di troppo.
Il maggiore dei fratelli, fisico atletico e grande oratore, le aveva consigliato di assumere un atteggiamento nei confronti della corsa, legato ad una meditazione induista.
Confusa, ma molto determinata, fece sue quelle sagge parole.
Ma si sa bene che tra la teoria e la pratica esiste un oceano fatto di pesci buoni e cattivi.
Così la sua incostanza che la rendeva spesso vulnerabile e dunque attaccabile caratterialmente,
fece si che tutti i consigli legati ad un sano e buon modo di vivere, diventassero a parole, la sua più forte medicina.
La pratica era diversa. La pigrizia la possedeva. Il mancato senso di stima per se stessa, le rendeva difficile intraprendere qualsiasi azione prolungata nel tempo. La determinazione nella sua vita, era sempre stata regalata ad altri: amici, amanti, genitori.
Per se stessa non aveva mai dedicato quel tempo necessario che l'avrebbe per così dire, elevata ad uno stato di grazia superiore... superiore anche al motivo fraterno del come intraprendere un percorso con le scarpe da ginnastica ai piedi.
Ma quella mattina fu diverso.
Allacciate le scarpe si fermò per un attimo appoggiando i gomiti sulla tavola di formica nera e le guance tra le mani.
Stava pensando.
Ne venne fuori che se avesse voluto intraprendere un percorso per se stessa doveva cambiar strada. Doveva scegliere un altro giro. Vedere se altre vie gli proponevano un paesaggio gradevole alla vista, semplice da percorre e non pericoloso. Doveva con costanza capire quale terra faceva per i suoi piedi.
Pensò diverse soluzioni. Sapeva che uscita dal cancelletto di legno scuro e ferro color fumè non sarebbe andata a destra. Avrebbe girato lo sguardo verso sinistra e puntato come una lince il fondo della via. Attraversato la strada, in curva nel posto dove da bambina le dicevano essere pericoloso.
A quel punto avrebbe potuto scegliere: diritto, lungo una piccola strada di campagna attraversata ai lati da due fossati ghiacciati; destra verso la città dove velocemente poteva raggiungere le mura del cimitero e ritrovarsi a percorrere un selciato fatto da poco, ordinato, pulito, ben tenuto. Oppure a sinistra verso borghetti squallidi e tristi, con fabbrichette orafe di bassa estrazione, logore e ammuffite.
Comunque aveva delle alternative.
E questo la gratificava.
Ma le alternative non bastano a rendere possibile un desiderio.
Infatti, tornando alla sedia color turchese della sala da pranzo, ai gomiti appoggiati al tavolo nero di formica e alle guance tuffate nelle mani ormai un po' fredde, ho la certezza che da quella posizione non si sia ancora mossa. ù
Sta ancora li... ad aspettare immobile, con i gomiti informicolati e gli stampi delle mani sulle guance, nella testa mille idee e viaggi, colori e disegni, parole e canzoni; ho la sensazione che stia aspettando che dall'alto arrivi la voglia fatta in carne ed ossa... che si sieda vicino a lei e che dopo uno schiaffo deciso, la prenda per le orecchie e la catapulti in strada...
Vediamo se un giorno di questi trovo il tempo per andare a trovarla...
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